Un’avventura inorganica – la fine

Sono al secondo cd dei Pentatonix e sto facendo tutte le cose che non ho fatto per cinque lunghissime settimane: vivere!
Reduce da un sabato meraviglioso e produttivo, una domenica in cui ho combattuto il sonno a colpi di freddo e il mal di gola mangiucchiando cicles in continuazione – per poter ripetere tutto il programma d’esame a voce alta! – e un lunedì in cui dopo ansia, mal di testa e una fame senza pari ho portato a casa un 30 e lode con cui mi esalto da ore, sono qui a testimoniare l’uscita vittoriosa da una sessione esami all’insegna dello sfinimento.

Dopo aver studiato chimica analitica sin da ottobre e aver ottenuto un misero 24, dopo la settimana-suicidio in cui ho fatto fuori l’intero programma di organica II concludendo con un’interrogazione piena d’ansia e un 27, mi sembra il minimo sottolineare la quasi calma con cui ho padroneggiato l’orale di inorganica. E potremmo anche parlare di me che scendo le scale di cinque piani di edificio quasi al buio, correndo e sull’orlo delle lacrime per la gioia. Robe che avrei potuto anche urlare in mezzo alla strada che era finita, una volta chiusa la porta dell’università… e invece ho mantenuto un filo di decoro, anche nel rispetto dei tre poveri studenti che, alle 18.45 di un soleggiato lunedì di fine febbraio, ancora aspettavano di essere esaminati dal professore. Non ho loro notizie, ma qualcosa mi dice che l’ultima ragazza avrà probabilmente terminato il suo orale alle otto passate, ovvero quando da me non esistono più treni che ti riportano a casa, manco potessi raggiungere all’istante la stazione.

Contenta dunque che il tour de force sia terminato – visto che il mio corpo si sarebbe probabilmente inventato qualsiasi cosa pur di farmi smettere definitivamente di studiare – ci  terrei a raccontare alcuni momenti salienti di questi tre ultimi giorni.

Vi ricordate del famoso e citatissimo compagno di avventure organiche? Il destino ha voluto che diventassimo grandi amici e che ci facessimo compagnia per ben due intere giornate nella settimana passata, praticamente gli unici due giorni in cui si possa dire che io abbia ancora studiato seriamente, giorni in cui tra risate, chiacchiere e le sue buonissime orecchiette al pesto ho praticamente salvato in corner il mio orale. E poi va beh, non fatemi ripensare alle lasagne che finisce con me che sbavo per terra, e fidatevi, non è una bella immagine.

Sabato sera, inoltre, ho deciso di stravolgere completamente il corso degli eventi andando ad ascoltare musica rock con la mia grande amica Gemma e la mia macchina nuova! Per la cronaca non è nuova, ma io la chiamo nuova lo stesso perché… boh non avrebbe senso chiamarla macchina vecchia o macchina usata, cioè, è obbrobrioso!
Ora, sappiamo bene che esiste un solo motivo per cui andrei in un posto simile, ovvero perché so che c’è qualcuno che mi interessa: se escludiamo che si tratti di una figura maschile, scommetto che nessuno abbia idea di chi possa essere.

E infatti, ladies and gentlemen, colpo di scena nella mia lunga attesa, ecco apparire tra i vari gruppi della serata – e tra le persone che sorseggiano un drink nel locale – una delle scrittrici che stimo e apprezzo di più e anche l’unica con cui io abbia mai parlato, che tra l’altro si ricorda di me. Capite che da qui all’euforia il passo è più semplice che in una transizione elettronica di un complesso metallico colorato. Calcolate che in tutto ciò la mia amica si è messa a chiacchierare con disinvoltura, inserendosi bene nelle conversazioni e sbam! Ho toccato la felicità con il cervello proprio, non saprei come altro descriverlo.

Domenica sorridevo come una cretina e nonostante questo mi ero comunque rotta le palle di studiare, cosa che mi ha portato direttamente in giardino con papà a potare piante. Noi due siamo tipo terminator quando si tratta di tenere le cesoie in mano: se passiamo da qualche parte non si può non notare la differenza.
Al pomeriggio invece mi sono arresa all’evidenza che un ripasso doveva pur esser fatto, ma sempre facendo il minimo sforzo, e finendo ovviamente il tutto dopo cena. Non avevo nemmeno le forze per agitarmi.

Purtroppo aver dormito domenica notte mi ha messo nelle condizioni di avere energia sufficiente per produrre ansia a palate il giorno successivo, in cui si alternavano rush di palpitazioni seguite da un imminente mal di testa e tanta, ma tanta fame. In tutta la giornata ho preso un the coi biscotti e il mio pranzo è stato una focaccia con un po’ di prosciutto e formaggio sconosciuti nel mezzo. Fine. Momento saliente del pranzo: tre ragazze che mi fissano mentre apro la focaccia, non so se per il mio sguardo da predatore affamato, o per la loro fame. In ogni caso ho apprezzato chiacchierare amabilmente in seguito con tutte loro.

Fortuna vuole che mentre la mia amica veniva interrogata arrivasse un altro mio amico e noi due iniziassimo un nuovo capitolo della nostra storia universitaria, chiamato “Avventure inorganiche: orali in aule che arrivarci è già qualcosa”, anche se poi lui passa venerdì. Però dai, per non lasciarmi sola ha fatto un esame pure lui al mattino.
Vedete com’è bella l’uni? Per non fare dispetti a nessuno, ogni studente dispone di un corredo privato di appelli che si sovrappongono con la semplicità con cui un bambino mette in bocca qualsiasi oggetto che si trovi tra le mani, e così se un ipotetico universitario ha sei o sette amici, è possibile che due o tre di questi siano sotto esame lo stesso giorno, magari anche alla stessa ora, obbligandolo ad affettarsi in due per poterli accompagnare tutti – sempre ammesso che lo vogliano.

Così è andata a bene a tutti quanti visto che non siamo mai rimasti soli e al momento clou la mia ansia si è tipo schiantata al suolo, vista la carenza di energie che potevano essere impiegate in una sola delle due seguenti strade: andare nel panico o ragionare sulle domande poste. Ringrazio la mia testa per aver scelto la seconda opzione.

Venti minuti dopo ringraziavo il professore e correvo ad abbracciare felice il mio amico, per poi lanciarmi giù dalle scale e correre verso il treno che rischiavo pure di perdere. Ma ero troppo felice, e lo sono ancora.
Ho fatto fatica a studiare, certo, ma ancora di più fatica a mantenere la calma in un’occasione in cui so di avere difficoltà, e per questo sono davvero fiera del mio lavoro.
E di avere degli amici come quelli che ho, che si sono sorbiti scleri, domande e la mia dolcezza a volte eccessiva senza mai lamentarsi. Ora tocca a me essere d’aiuto a loro.
Ed io sola so quanto sarei disposta a giocarmi pur di vederli felici quanto me in questo momento.

Un’avventura inorganica – la fineultima modifica: 2017-02-28T12:19:45+01:00da jessytherebel
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