Effetto Vani Sarca

Sono reduce da una gara di velocità su strada. Bicicletta contro trattore, figlia contro padre. Stasera ho capito che gli sprint sono fatti per avere una durata limitata nel tempo, per non protrarsi oltre il chilometro, e soprattutto per gente che sa far fruttare la sua respirazione anaerobica. Non esattamente per me, quindi. Alla fine del percorso la sensazione era su per giù quella di avere uno strato di cera depositato sulla trachea, abbastanza spesso da impedire una respirazione confortevole, ma comunque sufficientemente sottile da permettere a tutto il 21% di ossigeno dell’aria di raggiungere illeso i polmoni.

Dio, ditemi se è possibile scrivere delle frasi sensate con mia madre che continua a parlare. È davanti a me, vede che scrivo, ma nonostante ciò continua imperterrita i suoi discorsi, porgendo domande alle quali sono costretta rispondere e commentando fatti che potrebbe benissimo evitare di esprimere a voce alta. Perché è incapace di pensare in silenzio? È una domanda che mi pongo da quando ho notato che anche mio padre non riesce a sistemare le carte in camera sua se almeno non sibila i dettagli di ciò che sta facendo. Io, potessi, a volte comunicherei anche in silenzio. A occhiate, gesti, telepatia, qualsiasi cosa possa aiutare a mantenere un po’ di sana quiete nel paesaggio che circonda le mie orecchie. E i miei occhi.

Dev’essere l’effetto Vani Sarca, o forse farei meglio a dire l’effetto Alice Basso. Documentatevi da soli, non siamo in una serie tv e non sono tenuta a proiettare il riassunto delle quattro puntate precedenti. Salone del Libro di Torino (ebbene, non di Londra), ovvero il luogo dove accadono le cose per una modesta macina-pagine come me: una che dice che adora i libri, ma si limita a comprarli e riporli sulla mensola, per poi considerarli solo in un secondo tempo, ovvero le tanto agognate vacanze estive che ultimamente stanno battendo l’impareggiabile durata di tre settimane. Porto a casa il volume che desidero stringere tra le mani da un bel po’ e lo sistemo in libreria assieme alle altre novità. È proprio vero che chi ha il pane non ha i denti. Ai tempi delle scuole dell’obbligo, con tre mesi davanti al naso, mi annoiavo a morte. Ora, in tre settimane, vorrei poter recuperare un anno intero di privazioni, compresa quella ventina di libri ancora da leggere da, boh, minimo cinque anni.

Resta il fatto che dopo un intero pomeriggio china sulle pagine dell’ultimo romanzo della serie, mi sembra finalmente di essermi riappropriata di una parte consistente dei vocaboli della lingua italiana. Abituata a leggere per undici mesi l’anno slides mezze in italiano e mezze in inglese, dove non esistono frasi vere e proprie, ma sempre e comunque errori di battitura e/o punteggiatura, corredate da quaderni pieni di appunti che sì, contengono periodi, ma sgangherati come solo chi scrive in fretta può, trovarmi finalmente in mano un libro, scritto bene, con delle frasi vere, contenenti le parole usate nel linguaggio di tutti i giorni, è stato una manna dal cielo.

Tutto ciò arricchito da ben tre mesi di attesa per il fatidico momento in cui avrei avuto tra le mani questo libro e niente altro, perché si sa, tra un romanzo e il dovere vince il romanzo a man basse e se poi il suddetto libro è pure uscito dalla testa della tua autrice preferita, non c’è carico di cfu che tenga davanti alla procrastinazione. Quindi, come ho ben detto al professore di chimica computazionale, “il libro lo prendo più avanti, non devo avere distrazioni adesso, o il prossimo esame non lo studio mai più”, che è un po’ il riassunto della mia vita universitaria. Io apprezzo davvero chi riesce a studiare il pomeriggio e si accontenta di leggere un capitolo o due la sera. Perché per me il dopo pranzo è il momento adatto a lanciarsi a capofitto tra le pagine e dimenticarsi il proprio nome, cognome, età e vita privata, per diventare il silenzioso spettatore di tutta la storia. Il che significa non avere altri pensieri al di fuori di quelli che riguardano la storia medesima ed equivale appunto ad annegare la propria esistenza per mettere piede in un meraviglioso mondo parallelo.

Riemergere tre ore e fischia dopo è traumatico. Tipo troncare consapevolmente una propria dipendenza, con tutti gli effetti collaterali negativi del caso. Poi non c’è da stupirsi se mi si ritrova a gareggiare contro un 97 cavalli in strada. Non è nemmeno il peggio che potessi sfoderare.
E perché parlo di effetti collaterali negativi? Perché esistono anche quelli positivi, ovviamente. Tra tutti, l’effetto Vani Sarca che più preferisco, oltre ovviamente a donarmi nuovamente l’uso della parola, è quello di sentirmi legittimata, almeno un po’ più del solito, ad essere silenziosa, sociopatica, ad apprezzare il nero, i caratteri forti, detestare le smancerie sdolcinate, preferire la comunicazione non verbale a qualsiasi discorso, perdermi nella scrittura. Ho detto abbastanza. In realtà sono molto più logorroica di quanto mi piacerebbe essere, non possiedo il dono della sintesi se non in rari casi pre-esame, e certe emozioni mi chiudono lo stomaco ben più di quanto dovrebbero.

Inaspettatamente, ho addirittura trovato qualcuno che mi fa venir voglia di stare zitta, di non pensare e – maledizione – capta più dettagli di quanti gliene voglia far arrivare semplicemente osservandomi. La mia faccia è sempre stata un problema. Che servisse a farmi scaricare o a parlare a tradimento, è sempre pronta in prima linea a giocare a mio svantaggio. Potessi mi caverei gli occhi (magari con un cucchiaio, chi intende ha tutta mia stima), almeno eviterei di assistere a questa enorme pagliacciata.

In certi momenti vorrei proprio essere Vani, in mezzo a mille casini almeno saprei di poter contare su Berganza. Invece sono Jess e l’unica cosa su cui posso contare è un cazzo di agglomerato di processori, che sputa integrali a ritmi di fabbrica, ma di emozioni, manco a parlarne.

Effetto Vani Sarcaultima modifica: 2019-08-02T23:39:27+02:00da jessytherebel
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