La festa di paese

“Ciao bimbola!” esclama all’improvviso una figura comparsa rapidamente davanti a me, mollandomi un pizzicotto sul braccio mentre io cammino distrattamente verso l’uscita del cortile dell’oratorio, sabato sera.

“Vieni, che tra poco cominciamo lo spettacolo!” stavolta vedo una parrucca arancione e gli evidenti tratti somatici di un uomo sotto l’apparente figura di una donna.

Sono arrivate le drag queen a San Francesco, concludo rapidamente, incredula per la constatazione a cui sono appena giunta. In un attimo ripercorro l’evoluzione culturale del mio paese e percepisco qualcosa di stridente tra le signore di mezza età che parlano dei gay come se fossero appestati e il debutto di uno spettacolo di drag queen. Davvero siamo giunti ad una tale apertura mentale? (Pagherei perché fosse vero)

Ma io ho già deciso di tornare a casa e non intendo cambiare idea: esco dal portone spalancato lasciandomi dietro una scia di ragazzini in camicia che mi fanno riflettere su quanto sia cambiata la percezione che ho del mio paese da quando frequento Torino. La città sempre brulicante di persone e la fretta che mette addosso fanno sembrare le strade silenziose di questo paese come il corridoio di casa mia, motivo che mi spinge ad uscire di casa vestita come se provenissi direttamente dai fornelli o dalle pulizie del weekend.

Ma torniamo alla festa e a me che intraprendo la via di casa. Muovo i primi passi titubante, con una mezza idea di tornare sui miei passi a vedere cosa stia per accadere, quando dal cortile incriminato parte a gran volume “Baby shark do do do do do do, mommy shark do do do do do do…” e tutte le mie speranze stramazzano al suolo prive del coraggio di rialzarsi.

Ebbene, Hollywood non è voluta scendere in quest’umile terra. Cosa credevo io, che la gente fosse pronta ad un vero spettacolo? Che la mia miopia potesse trasformare dei semplici costumi in vere opere d’arte? Ebbene sì, lo avevo davvero sperato, forse persino un po’ desiderato. Come se cercassi un piccolo motivo per convicermi che non potrò proprio fare le valigie a cuor leggero tra qualche mese e, invece, nulla.

Già la quantità di persone riconosciute in tutta la serata parlava chiaro: quattro, di cui salutate nemmeno una, perché è gente che ho visto in giro, ma non ha idea di chi sia io. Voi direte, te la sei cercata. È logico, non posso darvi torto, sono sempre stata schiva al punto da evitare i posti con più di dieci persone messe insieme, ho mollato la biblioteca da tre anni e mezzo e ciò è bastato a far sì sì che io mi scordassi le facce di quei ragazzini anomali che venivano a prendere libri. Anomali perché il comportamento medio è schifare i libri, sia chiaro.

Insomma, in questo posto non ho radici. La mia presenza non fa differenze, né ho mai voluto farne io per questo posto e devo dire che è stata la scelta migliore, perché è un ulteriore aiuto ad aprire le ali e spiccare il volo. Non voglio dire che mettere radici in un paese sia proibitivo per cambiare aria, ma se ci si affeziona ai luoghi come capita a me, sicuramente non aiuta. Preferisco maturare la voglia di tornare a casa più avanti, ad esperienza terminata, non partire con il retrogusto della nostalgia.

Ed in fondo, tutto ciò significherà solamente sentire la mancanza di una cosa in meno. Fuori da questi confini ci sono persone che saranno difficili da conservare solo nei miei ricordi.

La festa di paeseultima modifica: 2019-09-29T16:27:56+02:00da jessytherebel
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