Stessa strada, stesso disagio

Se ho imparato qualcosa negli anni passati, è che l’idea di andare a fare una passeggiata alle dieci e mezza di sera non nasce solo dall’entusiasmo per la temperatura accogliente che c’è fuori. Di solito, almeno un briciolo di disperazione, dietro a tanta intraprendendo, si trova.
Questa volta, muscoli dell’addome così tesi da impedirmi di fare una cena normale… Ci risiamo. Capisco subito che il mio inconscio sta tramando qualcosa, di cui però mi sfugge l’essenza.
Mi fa ridere però che si dica muscoli “tesi”. Praticamente questa parola potrebbe descrivere sia la causa che la conseguenza di quel che mi succede. Ma veniamo al dunque…
Domani parto per Andorra, per fare quello che fanno di solito i ragazzini una volta l’anno nelle squadre sportive e l’unica reazione che mi viene, al momento, è un palmface… Datato, lo ammetto, ma davvero accurato nel descrivere il mio stato d’animo. Aggiungiamoci in tutto ciò che tra un trasloco, una lavatrice di soli delicati e un viaggio di lavoro io abbia le mutande praticamente contate, cosa che mi rende forse un’incosciente agli occhi altri, ma che per me descrive benissimo il livello di disagio che si cela sotto tutta questa apparente calma. Così annego i miei pensieri nelle passeggiate.

Avrei posti migliori dove annegarli, ma anche lì il mio amico tempismo si è impegnato per mettere le persone nelle città sbagliate al momento giusto e così non mi resta che attendere fine gennaio (passando il mio tempo a fare e disfare valigie, arrangiare in corner le lavatrici e vivere con la dispensa perennemente vuota). E incrociare le dita, forte. Molto forte. Facendo finta che la distanza non abbia mai rovinato niente.

Il gran mistero qui è come è possibile che io abbia delle scorte infinite di speranza. Cioè, volevo mettere la frase tra parentesi, ma si merita tutto un paragrafo. Come caspita è possibile, che io, dopo aver preso innumerevoli rastrellate in faccia, e qui mi riferisco ad ogni genere di rastrellate, riesca a voltare pagina e illudermi che potrebbe comunque andare meglio la prossima volta? Da dove esce tutto ciò? Come!?

È un superpotere, praticamente. Così come ho l’abilità di non perdonare mai del tutto chi me le combina grosse e di concedere la piena fiducia un’unica volta per ciascuno, sono pure una capocciona che davanti agli errori umani si immagina che forse la volta successiva non capiterà più. Stesso ragionamento fallace che uso per i miei attacchi d’ansia, tra l’altro, per cui ogni volta ricado nella stessa melma dopo essermi convinta che non sarebbe più successo.

Anche fosse un superpotere, resterei comunque dell’idea che sarei quanto di più lontano da un’eroe possa esistere. Forse potrei esserlo per me stessa, ma poi accadrebbe come stasera, che scenderei in strada, passerei per le stesse strade in cui ho camminato gli anni passati, e mi renderei conto che sono impregnate di una sensazione un po’ sgradevole. Di quella voglia di uscire, andare lontano e lasciarsi alle spalle quel che non va, per poi accorgersi di avercelo addosso e stargli semplicemente facendo fare il giro del quartiere, per farlo appiccicare ai muri e ai pali della luce. E rivederlo aggrappato lì tutte le volte successive.

Che per quanto io mio sforzi di migliorare, sempre e comunque, inevitabilmente mi scontro con l’evidenza che sul fondo, sotto tutti i piani del bel palazzo che ho costruito con la mia crescita, ci sono delle crepe nelle fondamenta… E a causa loro, ogni tanto, tremano i muri di sopra.

A me non piace mica avere quelle crepe. Ma loro sono lì, e mi toccherà trovare un modo di porvi rimedio, se non voglio rischiare che crolli tutto ciò che c’è sopra.

Stessa strada, stesso disagioultima modifica: 2024-01-15T00:02:08+01:00da jessytherebel
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