Non ho resistito alla tentazione

Dev’essere il karma.
Accendo il pc per scrivere, dopo che tutti i miei sforzi di repressione sono stati ufficialmente sconfitti da un complimento fattomi da una scrittrice che stimo tantissimo, controllo la mail universitaria, ci trovo un trenta e lode (sia lodato il mio studio!) di matematica, penso bene di mettermi un po’ di musica in sottofondo e… si rompono le casse.

Forse dovrei ringraziarle perché facevano abbastanza schifo, e almeno ora ho una scusa per cambiarle, ma vogliamo mettere andare su youtube con il mio Samsung di due anni e mezzo di vita che va a singhiozzi come un’auto che sta finendo il carburante?
Mentre ho detto a due persone del trenta e lode?

Digito “Genie in a bottle” nella barra di ricerca e scopro che Christina Aguilera ha rilasciato una canzone omonima sei anni fa. Quindi perché non ascoltarla? Ma prima metto quella recente del film “Descendants” che ovviamente non ho visto. Non avevate dubbi, ne sono certa.

Comunque, non sono qui per parlare di cose che non ho visto, di esami – bleah – e nemmeno di cose che si rompono. A parte le mie palle, che si sono rotte già un po’ di tempo fa.

Ieri ero davanti a quel mucchio di reazioni che si assomigliano tutte, con un mal di testa di merda, proprio come quello che ho adesso e che mi farà visita tutti i giorni per le prossime due settimane (perché il mio corpo ha detto no allo studio e io lo obbligo a continuare), e mi rifiutavo a tal punto di vedere un altro solo ione idrossonio da prendere uno dei venti libri mai letti che ho sulla mensola ad un metro dal naso e passarci due ore e mezza sopra, manco mi avesse fatto entrare in paradiso. E poi dopo cena gli ho tirato il colpo finale e l’ho finito.

E ora sono già in astinenza, maledizione! Solo a pensare che devo aspettare dei mesi per il seguito mi mette i brividi, ma almeno su una cosa saremo tutti d’accordo. Non ho più distrazioni che mi levino tempo allo studio. Beh, se escludiamo l’intero internet.

Nel frattempo ho scoperto che quelle due canzoni di prima sono la stessa cosa. Questo significa che la Disney ha pescato una canzone vecchia e l’ha fatta cantare ad un’altra tizia per piazzarla nel film. Delusione tra tre, due, uno…

Tornando al libro, già pregusto la difficoltà nel dover scrivere un breve commento nella sezione di questo blog dedicata ai libri, che manco so più che nome ha (ho dovuto eliminare un paio di informazioni per fare spazio a tutta chimica, portate pazienza), perché in sostanza equivale a mettermi un pezzo di nastro sulla bocca e buttarmi in un angolo di qualche stanza buia. Così sarò breve, qualche mugolio, e basta.

Il romanzo si intitola “Scrivere è un mestiere pericoloso”, scritto da Alice Basso, che ho incontrato di persona e ci manca poco che la veneri come fosse una dea.
Partiamo dal primo punto, ovvero che se non lo so io che scrivere sia pericoloso, con quel che mi è successo un anno e mezzo fa su questo blog, non lo sa nessuno. Per un attimo credevo di essermi giocata l’anno scolastico, e invece la faccenda si è conclusa senza vittime. Solo un bello spavento.

Parliamo della protagonista, Vani, che se dovesse mai esistere per davvero, mi avrebbe lì ai suoi piedi a ripeterle quanto la stimo (cosa che tra l’altro le darebbe anche fastidio). Sociopatica come poche, cinica, ha una testa che è una meraviglia, fa finta che non gliene freghi mai niente e possiamo immaginarci quale sia la verità, se qualcuno le sta sul cazzo non perde un occasione per dimostrarglielo. Un vero esempio. Perché lei è se stessa. E se c’è una cosa che dobbiamo imparare tutti da lei è che bisogna sbattersene delle opinioni della gente comune, e non avere paura di tirare fuori il carattere. Cosa che ogni tanto sperimento anche io e dà ottimi risultati oltre che ad un enorme senso di libertà.

C’è questa Vani che fa la ghostwriter, e in questo libro (sì, cari, esiste un romanzo precedente che vi cercherete da soli mentre sgranchite le dita sulla tastiera) lavora anche per la polizia.
Ora, chiunque abbia un’idea di come fossi tra i 13 e i 15 anni sa che io avevo un debole per la polizia, e credo che sia diventata una specie di malattia perché ancora adesso ho di questi cedimenti. Non per niente, in giro per questo blog sentirete nominare un certo vigile… e mi fermo qui che è meglio. Non posso nemmeno dare la colpa al fascino della divisa perché il commissario del romanzo in questione non l’ho visto in divisa e anzi, non l’ho proprio mai visto, eppure ha un carattere che ti prende e ti fa sciogliere i neuroni fino all’ultimo. Ah, cucina. E anche lui ha una bella testa. Un uomo capace di sfamare una donna, in tutti i sensi.
Roba che dici “Scusa, posso entrare in scena anch’io, che vado a parlarci un attimo insieme e mi rifaccio un’idea di come dovrebbe essere il genere maschile?” ma ti accorgi che non avresti nulla da dirgli, a parte se ammazzassi qualcuno e allora avresti un buon motivo per arrivargli fin nell’ufficio.

A pensarci bene qualcuno da menare lo troverei senza nemmeno impegnarmi molto… Insomma come Vani con il suo ex fidanzato, che a forza di detestarlo lei, lo detesto pure io. Specie perché rompe sempre i coglioni nei momenti più inopportuni. E Dio solo sa in quale momento inopportuno è arrivato l’ultima volta… Ma non parlerò e non vi farò spoiler. Però una cosa ve la dico. Il piacere della vendetta è catartico, e gustarselo ogni tanto non nuoce alla salute (al massimo un filo alla coscienza).

Poi ci sono Morgana, che sembra Vani da piccola, e Irma, che sembra Vani da anziana. E meraviglia delle meraviglie, per tutti quelli come la sottoscritta che “I gialli mi piacciono tanto”, c’è anche l’omicidio. Mi permetto di dire – manco fosse chi sa quale giudizio – che è un caso costruito veramente bene, pieno di colpi di scena dovuti anche – parere mio – alla capacità della scrittrice di convincere il lettore della veridicità di una pista, per poi farlo inciampare di fronte all’evidenza e scoprire che era tutto falso. Anzi, peggio, la scrittrice convince il personaggio che la pista sia quella giusta. E per proprietà transitiva, o patto narrativo, a seconda che la vostra mentalità tenda di più allo scientifico o all’umanistico, ne siete convinti anche voi.
E mentre Vani ripete “Pazzesco” voi le farete eco con qualche altro sinonimo, tanto con l’italiano ce n’è per tutti i gusti.

Insomma, con un po’ di impegno si può parlare di un libro senza raccontarne quasi nulla. Questa tecnica è più nota agli studenti col nome di “girare attorno alla domanda”, nonostante io non l’abbia praticamente mai usata perché le risposte o le sapevo, o non le sapevo.
Quindi oggi abbiamo imparato che è essenziale il modo in cui si raccontano le cose, e anche lo spirito che ci mettiamo nel farlo. Che bisogna scegliere le parole adatte, ma va lasciato spazio anche alla spontaneità.
Perché senza spontaneità nessuna dichiarazione parrebbe sincera, e io non sarei in grado di tessere lodi, se non ammirassi davvero ciò di cui parlo.

 

E ora, se non vi dispiace – a me sì invece – torno ai miei acidi carbossilici, che non vedono l’ora di essere sottolineati con tanti colori diversi, visto che sembra l’unico modo per renderli un po’ più memorizzabili!

Non ho resistito alla tentazioneultima modifica: 2016-07-04T15:47:54+02:00da jessytherebel
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