Un sogno assurdo

Sono già tre o quattro giorni che reprimo con tutta me stessa la voglia di scrivere uno di quegli articoli in cui finisco per vergognarmi di me stessa, e dopo quello che mi è successo stanotte credo proprio di non poterne più fare a meno.

A parte la sveglia ad un’ora imprecisata della notte ad opera di un gallo e di un antifurto – che ancora non so se mi abbiano svegliato insieme o in due momenti diversi – verso le sette passate la mia mente decide di avventurarsi in un sogno che è un melting pot di cose viste e vissute recentemente e no.

Sono in piedi con un trolley per mano davanti alla porta di un edificio che non saprei nemmeno dire dove ho visto, pareva di stare in mezzo a Firenze, ma l’angolo acutissimo del palazzo che mi trovavo di fronte sembrava molto più torinese che fiorentino. Il sesto senso mi dice imperterrito di suonare, salire e riprendere possesso della mia stanza nel collegio universitario, quasi avessi avuto una crisi di identità con la mia amica pugliese. Inoltre, il mio cervello sa benissimo che quello non è un collegio, che sto suonando un campanello a caso e che l’università è ancor lungi dal cominciare.

La mia parte razionale si sta chiedendo a gran voce cosa diamine ho intenzione di fare, e soprattutto perché io voglia reclamare per me proprio la stanza 112, ovvero quella che avevo in vacanza, a Firenze.
Siccome nei sogni tutto ha un senso – come no? – non appena superata la porta d’ingresso ecco che l’edificio si allarga magicamente di sei o sette volte e diventa di uno squadrato da fare invidia ai fogli da disegno, con tanto di rampe di scale a destra e a sinistra.
E io che non so dove cazzo andare.

Qui inizia la parte in cui la mia faccia si tinge di rosso vergogna e se una mano scrive l’altra mi sta scavando una fossa, per quando avrò finito di scrivere.

Ecco che da una delle numerose stanze materializzatesi su ogni parete dell’edificio (che acquista più volume ogni secondo che passa) spunta una specie di Zaytsev dei poveri, che come un maestro con un suo allievo mi indirizza sulla strada da prendere per arrivare alla mia famosa stanza… Questo tizio così biondo e simpatico, non solo si dà da fare per mettermi a posto le rotelle fuse del mio cervello, ma riesce anche a sviluppare un certo interesse per la sottoscritta nel misero tempo in cui interagiamo, e il bello è che non ho idea di dove diamine mi abbia detto di andare, so solo che mi ha chiesto il numero di telefono e se lo è scritto senza che aprissi bocca, come in preda alla telepatia.
Con la mia faccia accigliata mi avvio dunque verso un posto che non ho idea di cosa sia e pare essere stato tagliato con poca efficienza dal filo del mio sogno, proprio come se qualcuno avesse sforbiciato a casaccio la pellicola di un film.
Subito dopo sono di nuovo al punto di partenza, sempre a due centimetri dal portone di ingresso, dove la mia mente brillante mi suggerisce di andare a lezione. E giusto perché il tutto non era ancora abbastanza imbarazzante, alla mia destra trovo un’aula universitaria (sempre dentro lo stesso edificio, già) gremita di studenti… alias la mia vecchia classe del liceo.
Io dico, almeno una briciola di sforzo e metterci i colleghi dell’università? No, andiamo al risparmio e tiriamo in ballo i liceali. Come se non bastasse, l’unico posto libero per me è quello all’estrema destra, dove mi accomodo scoprendo subito dopo che la lavagna si trova esattamente dall’altra parte, e quindi, come previsto, non vedo un accidente. Infatti ieri mi sarò ripetuta più o meno una decina di volte “fin laggiù non vedo”.

Morale della favola, vado via da lì a sulla destra trovo le solite stanze con tanti studenti… Peccato che a guardarli bene non siano studenti universitari ma… atleti olimpionici? Okay, ero parecchio infognata con le olimpiadi, ma non stiamo forse esagerando? Nulla, mi lancio alla ricerca di non so chi, mentre attendo con trepidazione un messaggio dal tizio biondo, che alla fine non è mai arrivato, e piombo in una stanza dove ci sono un po’ di tizi tanto alti… tipo alti quanto basta per giocare a basket, e come una nuvola di fumo che in un attimo perde consistenza, sbam! Sogno finito.

Quando mi sono svegliata, aspettavo ancora di ricevere un messaggio. Quando ho realizzato a chi assomigliava il tipo biondo del sogno, stavo per darmi una randellata in testa. E quando ho acceso il cellulare, la mia amica mi ha dato il buongiorno così:
IMG-20160828-WA0001
IMG-20160828-WA0003IMG-20160828-WA0005IMG-20160828-WA0002

Mi sono di nuovo fregata da sola, vero?

Postilla: questi sono gli effetti collaterali di quando si guardano le olimpiadi mentre si prepara chimica organica I. Uno sente nominare Zaytsev tutti i giorni, poi apre il libro e trova Saytzeff ogni due pagine. Si chiama condizionamento mentale. Solo che i danni li fa lo stesso…
Ah, gli ho scritto un messaggio e mi ha pure risposto, così un branco consistente di neuroni si è lanciato giù per un burrone, definitivamente.

 

Un sogno assurdoultima modifica: 2016-08-28T14:51:20+02:00da jessytherebel
Reposta per primo quest’articolo