Avventure da laboratorio

Non ho ancora trascorso un intero giorno su biochimica e già ho perso metà dei neuroni buoni: decido di farmi una tisana – strano – scaldo l’acqua, prendo la confezione dell’infuso ai frutti e rossi e convintissima apro il barattolo del sale, pronta a lanciarne un cucchiaino nella tazza. Quando ci si distrae nel momento sbagliato…

La mia testa è tutta un flashback in onore della settimana più bella del semestre: il laboratorio di sintesi organiche. Quel posto magico in cui entro con diffidenza, patendo l’odore di cui è impregnata l’aria (aroma di studio dentistico), e da cui esco con due certezze: la prima, che la chimica organica non sarà mai il mio mestiere; la seconda, che mi sono divertita un sacco.

E se l’ho chiamato posto magico, un motivo c’è. Anzi, molto più di una sola ragione.

Pareti di un giallo discutibile e armadietti per la vetreria grigi: l’abbinamento non è forse il migliore, ma il peggio si trova altrove. Non appena giri la chiave nella serratura del posto che per ironia della sorte ti sei scelto da solo, ti si apre un mondo: un mondo di vetreria lurida come se quelli del laboratorio prima non avessero nemmeno provato a lavarla e a te spetti il compito di farla brillare. Oppure semplicemente apri l’armadietto e una beuta decide di schiantarsi sul pavimento senza motivo, sbriciolarsi ben bene in più punti e lasciarti a contemplare la tua sfortuna. Suvvia, se succede agli altri fa persino ridere.

E così si comincia con la prima reazione e tra lo shock di doversi riabituare al trambusto del posto, le bilance che non vogliono saperne di funzionare e i reagenti che volano via dalle spatole non appena si provi a trasferirli nel pallone in cui verrà svolta la reazione, capita che a qualcuno tutto vada a buon fine, mentre tre metri più in là un gruppetto di studenti resti a fissare il vortice creato dall’ancoretta nella vana speranza di vedere anche solo un minimo di cambiamento nell’aspetto della soluzione che si agita di più di un’ora davanti ai loro occhi.

Capita a volte che uno si impegni tanto per seguire bene un procedimento, che dopo due giorni di amorevoli attezioni alzi una capsula al cielo, fiero della sua cumarina, e poi si senta dire che “La ricetta era sbagliata, non sappiamo cosa ci sia lì dentro”. E lì si frantuma irreversibilmente ogni speranza di presentare quella reazione all’esame, con tanto di fotografie descrittive di ogni fase del processo. Alla fine sarebbe stato più divertente far scoppiare tutto quanto, versando senza troppe esitazioni il bicarbonato nell’acido e colorare il proprio pomeriggio di arancione. Invece no, impegnati, resta deluso, ma facci comunque il punto di fusione.

Nel dubbio, facci anche la gascromatografia, sempre se ti ricordi in quale ordine fare tutte le operazioni che ti consentono di svolgere l’analisi, e prega che esca un solo ed unico picco, alto, strettino, al quale venga attribuita un’area pari a 100. Ora puoi gioire. O forse no: sei sicuro di aver svuotato la provetta nei reflui clorurati?

I bidoni dei reflui, che emozione. Ogni volta che ci vado davanti non vorrei avere i polmoni. Poi ci sono i lavandini, ai quali interessa che non venga sprecata acqua. Tu apri il rubinetto, lui si chiude. Ripeti l’azione un numero n di volte tendente all’infinito e impari a lavare la vetreria con una mano sola. Eppure è divertente. É molto meglio che starsene a lezione, in silenzio, a prendere appunti in una piccola auletta bianca.

In laboratorio interagisci con le persone e non importa se ad avvicinarvi è stata l’ansia di aver sbagliato un passaggio di reazione – o comunque di sbagliare, perché in fondo è tutto riconducibile a quello – o la coda al gascromatografo, il bello è avere una possibilità. Finalmente puoi lavorare in coppia con l’amica che hai conosciuto tre anni prima e passare un po’ di tempo insieme ad una compagna che purtroppo hai visto poco a lezione. Puoi dire e sentire scemenze, iniziare a ridere, oppure urlare perché hai appena sentito la parola “crategone” e ti ha riportato alla mente troppi (brutti) ricordi. Puoi respirare le sostanze più schifose del banco reagenti e discutere dei loro effetti collaterali, per giungere a conclusioni che evito di menzionare perché potremmo sembrare matti da legare e non mi sembra il caso.

Dovrebbero fare una nuova versione di “A Natale puoi”, tipo “A sintesi puoi” o “Dentro al lab si può”, sarebbe divertente. Magari un giorno ci provo.

Ma prima devo fare pace con le proteine e i loro cofattori… Amen.

 

 

Avventure da laboratorioultima modifica: 2019-01-26T18:54:45+01:00da jessytherebel
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