L’ansia e il dottorato

L’altro ieri volevo scrivere un articolo con questo titolo, stasera tuttavia sarebbe più consono trasformarlo in “La pillola, l’ansia e il dottorato”. Vi avviso, non è il solito genere di racconto costituito al 50% di ironia e goffaggine.

L’ansia e il dottorato, che bel duo. Il secondo l’ho scelto io, la prima no. Se mai, è stata lei a scegliere me. Mi ha incontrata un giorno d’estate del 2010, mi ha fatto compagnia per due anni celando meticolosamete la sua identità e, quando mi aveva finalmente ridotta ad un calzino, si è presentata per nome. Da allora ho cercato prima di combatterla, poi di capirla e darle retta e nonostante ci fosse di mezzo un simpatico liceo a rendere tutto più complicato, siamo riuscite ad andare d’accordo. L’università è stata un’altra bella sfida, ma molto più semplice del liceo, tranne quando poco prima della laurea ha fatto una pomposa entrata in scena e mi ha quasi mandato all’aria l’Erasmus. Dico quasi, perchè poi a quello ci ha pensato il covid. Sarà un insulto per molti, ma lo stato di allarme generale creato da quel virus mi ha fornito una copertura eccezionale per non dover andare a sbandierare in giro che avevo appena avuto l’attacco di panico più devastante della mia vita e che non sarei più tornata in Francia nemmeno sotto tortura. Dover rimanere chiusa in casa per un mese mi ha dato il tempo di cancellare dalla mia testa chi fossi e dove sarei dovuta essere, ma soprattutto mi ha offerto la grande opportunità di poter stare da sola mentre mi sentivo un essere insignificante, senza speranza e con la paura della sua ombra, senza dover fingere con il resto della società di stare bene, o peggio ancora, tentare di spiegare come mi sentissi.

Perchè ammettiamolo, chi non ha mai avuto di questi problemi ha un livello di comprensione sotto lo zero e, a meno che non disponga di un buon livello di empatia, o prima o dopo mancherà di tatto nell’avere a che fare con noi.

Quindi beato il confinamento e fortunata me ad avere dei professori che hanno compreso. Già che mi devo portare dietro questo fardello, almeno che ci sia qualcosa di positivo a controbilanciare il tutto. Fatto sta che, da quel famoso marzo 2020, la buona Melanie – così ho soprannominato l’essere malsano che prende il sopravvento su di me spargendo ansia come fosse coriandoli a una laurea o riso ad un matrimonio – si è comprata uno zaino da 45 litri e un sacco a pelo e ha cominciato a seguirmi dappertutto. Prima ha preso l’autobus con me fino a Barcellona e ha progettato un altro dei suoi exploit per impedirmi di tornarci dopo Natale, poi è venuta a sussurrarmi nelle orecchie che mi avrebbero cacciata di casa dopo Pasqua, quando ho avuto la malsana idea di trasferirmi nella casa di una stordita (per farle un complimento), poi si è messa a dormire un lungo sonno… e si è svegliata, con molta calma, qualche mese fa.

Ringalluzzita dal sonno ristoratore, ha progettato un altro piano di attacco, stavolta teso a minare il benessere sul lungo periodo, anzichè concentrare tutti gli sforzi per un’unica breve performance. Deve avere imparato da mia madre, a furia di sentirla ripetere di aver passato “tante ore a cucinare e poi in dieci minuti spazzoli tutto”. Furba, lei. Forse avrà anche pensato di lasciare che io mi scavassi la fossa da sola, così da non dover spremere troppo olio di gomito. E mentre io cominciavo a detestare sempre di più quello che stavo facendo, giorno dopo giorno, lei probabilmente stava immaginando se fosse possibile preparare una tisana con tutto il nervoso e il rancore che stavo emanando. E questo perchè? Perchè la regola vuole che liberatisi di una persona di merda, ce se ne ritrovi tra i piedi altre due, e così per sempre nei secoli dei secoli.

Insomma, bastava proprio poco per far scoppiare la bomba. L’ennesimo trasloco (anche se poi in realtà vivo a ponte tra due posti… che se vogliamo è persino peggio). È bastata una settimana, dopo la quale mi è apparso uno “strano mal di pancia” del quale sono attualmente prigioniera.

E lo sono davvero. Ormai vivo con l’ansia di avere mal di pancia, il che a tutti gli effetti me lo causa. Che poi la faccenda sia alquanto complicata non è più un mistero, ahimè. Dopo quasi due mesi di investigazione, mi sento piuttosto confusa. Disillusa, triste, persa. Più tento di decifrare i miei sentimenti e più scopro del marcio sotto la superficie. Mi piacerebbe tanto scappare in un posto dove tutto ciò possa scomparire per un attimo, per darmi un po’ di tregua, ma non c’è verso di fuggire da se stessi. È un lento dondolio che non riesco a fermare e mi sento andare sempre più giù…

Sfortunatamente molti non capiscono e io non so spiegare qualcosa che non capisco nemmeno bene io. So solo che è praticamente impossibile far capire alle persone che se rido e scherzo mentre sono in compagnia, non significa che sia tutto ok… E allora me ne sto zitta. Stringo i denti e cerco nei ricordi cosa avrebbe fatto la vecchia Jess per tirare avanti fino a fine giornata. E la verità è che non lo trovo. Sono così annebbiata da qualunque emozione negativa, che non riesco a recuperare quelle sensazioni. E anzi, ogni spunto è buono per crucciarsi ancora di più. Ultimo tra tutti, la pillola. Io vorrei avere almeno un briciolo della stessa intraprendenza di chi la prende unicamente a scopo contraccettivo. Dico, ci sarà qualcuno che lo fa, spero. Io dovrei prenderla per evitarmi dei dolori inutili, visto che proprio un paio di mese fa il mio apparato riproduttivo ha deciso di dare spettacolo ai presenti facendo bordello e spaccando vasi sanguigni a caso. Risultato: ora ho una bolla di sangue che si muove a caso, tocca membrane e fa male. E tutto ciò causato dalla simpatica migrazione di un ovulo. Pensavo fosse un evento singolare e invece no, un mese dopo altra sorpresa poco gradita. Così siamo giunti all’11 novembre con una Jess spaventata dall’idea che i giorni passino e arrivi il momento di fare i conti con il prossimo ovulo, ma pure con la pillola stessa. Ho letto il foglio illustrativo (su internet) e mi è passata la voglia anche solo di avvicinarmi alla farmacia. In tutto ciò mi si stanno contorcendo le budella dalla paura. Se avessi a disposizione un bel bottone con su scritto “PAUSA” per fermare il tempo e non dover più avanzare nel calendario, non esiterei a premerlo. E invece, oltre a prendere atto del fatto che tale via non è percorribile, mi tocca anche dover prendere una decisione.

Ora, mai prendere decisioni quando si è in uno stato mentale alterato. Tipo: vorrei forse io alzare il telefono e mandare a stendere la dottoressa che me l’ha prescritta, nel tentativo di sentirmi più leggera? Sì, ma non lo faccio, perchè oltre ad essere molto poco educato è anche un finto sollievo, poinchè non risolve, nè elimina il problema.
L’idea di dover prendere una pastiglia con così tante controindicazioni e regole di somministrazione alquanto strette mi manda in pappa il cervello e mi fa sentire in gabbia. Vorrei solo che tutto fosse normale come ad agosto. Non mi piace per niente la piega che ha preso la mia vita in questo periodo.

Sognavo da tanto di venire a Torino, ma lo immaginavo molto distante da come sta andando in realtà. Non mi sto godendo niente e anzi, casa sembra una prigione. Ma so che la prigione ce l’ho addosso io e con le mani mi aggrappo alle sue sbarre, chiedendo aiuto. Però, fuori, nessuno risponde.

L’ansia e il dottoratoultima modifica: 2022-11-11T23:36:16+01:00da jessytherebel
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