Atmosfera da sessione

Pronti ad assumere per l’ennesima volta l’aspetto da studenti in crisi e fare gli imbucati in casa mentre fuori splende il sole?

La mia mente ancora non ha capito cosa mi aspetta da domani, prova inequivocabile il “buone vacanze” che stavo per dire a due miei amici. Diamo colpa alla mia stupidità e speriamo di non venire assaliti dall’ansia domani. Ma soprattutto cerchiamo di capire il mio attuale “state of mind”, caso mai qualcuno trovasse modo di porvi rimedio.

Reduce da una nottata passata a domandarmi più volte come si leggesse l’ora proiettata sul muro dalla sveglia dell’amico che mi ha gentilmente permesso di russargli in camera martedì sera, non solo ho potuto approfittare della sua immensa gentilezza nel prepararmi la colazione, ma mi sono anche permessa di ridurmi come un calzino qualche ora dopo!
Suona la sveglia alle 7.30. Rinuncio a guardare l’ora sul muro e bisbiglio un buongiorno ad Alessandro, che cinque minuti dopo mi sta preparando un caffè per colazione e Gesù! Chi mi conosce bene avrà dovuto recuperare gli occhi che gli saranno appena caduti per terra alla parola “caffè”.

Passo le prime tre ore piena di euforia, ma le successive quattro sono un vero e proprio disastro. Suggerimento: non prendete un caffè a stomaco vuoto se non siete abituati. E se non capite perché un attimo prima siete esaltati e subito dopo depressi, non tentate di dare la colpa a qualcuno o a voi stessi, basta aspettare due giorni e…

Stavo per uscire di casa. “Aspetta che faccio un saltino in bagno per sicurezza, stamattina mi sento un po’ strana” mi dico, senza immaginare minimamente cosa sarebbe successo. Tempo di accorgermi di quel che mi si para davanti che partono parolacce e urla, consapevole di aver appena scampato un disastro di dimensioni imminenti, e poi sono le 7.29 e io devo uscire di casa, invece sono in bagno a trafficare per sistemare i colpi di genio dei miei ormoni cannati. Poi dico, non poteva capitare alle 6.50? O alle 7.15? No, alle sette e ventinove, così oltre a perdere sangue perdo anche il treno. Fantastico.

Ma almeno abbiamo capito perché stavo per scoppiare a piangere in aula senza un apparente motivo, al posto di mangiare avevo la nausea e avrei volentieri preso a botte qualcuno (dire che mi vergogno è riduttivo, ma lasciamo stare).

Arrivo alla stazione in orario grazie alla mia super mamma e da lì comincia il famigerato ultimo giorno di lezione. L’atmosfera è quella di un giorno in cui tanti sono rimasti a casa a studiare per l’esame di analitica che si avvicina sempre più, miei amici compresi, e io invece sono a lezione perché non andarci mi fa sempre tanto strano. E in ogni caso analitica mi fa abbastanza schifo da preferire le spiegazioni allo studio.
Le quattro ore della mattinata iniziano a volare solo dopo una compressa di Buscofen, che mi salva in corner dai tremendi dolori che mi sono sorbita l’ultima volta – un 27 dicembre passato a contorcermi sul divano, con lo stomaco girato e giurando di non fare mai più cagate come quella di non prendere medicine.

Dopo pranzo mi raggiungono gli adorati amici con cui sto passando praticamente ogni giorno e mi rendo conto che per più di un mese non li vedrò, se leviamo un paio di esami a cui ci troveremo insieme. Accanto a me si siede il compagno d’avventure organiche, la famosa guest star dell’articolo di metà settembre, che oltre a darmi il portapenne in testa – con grazia, lo ammetto – chiacchiera anche, cosa che salva i momenti più noiosi del pomeriggio.
Decido di prendermela comoda per l’ultimo giorno, approfittando di una caviglia momentaneamente sana, e all’uscita mi lancio con il soggetto sopracitato e il suo migliore amico verso il pullman che più mi ha fatto scervellare in passato: il 67.
Quello per cui appena ieri ho quasi sputato un polmone, oggi mi ha fatto di nuovo correre, ma per un quarto d’ora in più di chiacchiere si corre e si fa atletica a casaccio per le vie di Torino.

Quando poco dopo arriva il momento dei saluti e mi ritrovo sola ad un semaforo, mi rendo finalmente conto di cosa mi aspetta. Sembra ancora un po’ strano, in fondo è pomeriggio e fuori si sta bene, fa piacere passeggiare sotto i portici e camminare con calma, senza stare ad inseguire nessuno. Sentirsi un po’ liberi come il vento, andare dove pare e piace.
In fondo ogni volta che ho messo piede su quel 67 l’ho fatto col preciso intento di prendermi una pausa da tutto ciò che avrei dovuto fare, giocare con la sorte e rischiare di perdere un treno che rappresentava i miei doveri. Ogni volta che non volevo tornare a casa e vedere quanto le cose andassero storte ho preferito restare ad aspettare un pullman che mi avrebbe in qualche modo complicato il ritorno, ma alleggerito la testa per una manciata di minuti. E c’era di buono che nel frattempo mi sarei costruita due amicizie su cui contare nei giorni a venire.

Sapere di andare incontro ad un periodo di studio solitario mette un po’ di tristezza, lo ammetto. Capita sempre troppo tardi che io mi accorga di come si stia bene tra la gente, di quando sia bello uscire e godersi la compagnia di un amico, e quando mi ritrovo a dover cambiare completamente direzione è uno spaesamento ogni volta. Però ho deciso che avrei cercato di gioire di ogni momento che mi avrebbe riservato questo nuovo anno, visti tutti i precedenti, e quindi cercherò di apprezzare anche i giorni di studio solitario, sperando che ogni tanto accada qualcosa di inaspettato e che marzo non si faccia attendere troppo.

A volte sembrerò un lupo solitario, ma la verità è che nel branco ci sto bene, eccome se ci sto bene.

Atmosfera da sessioneultima modifica: 2017-01-21T11:11:40+01:00da jessytherebel
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