Sull’autobus

Mi sveglio e abbraccio il cuscino. Gli mollo un bacio. Poi realizzo che non è ciò che mi aspetto. Accidenti, se proprio ci teneva tanto la mia testa, poteva sforzarsi e sognarlo, no?
Fortuna che in cucina mi attende l’ultimo pezzo di torta da immergere nello yogurt al caffè e la mattinata prende una piega migliore, almeno fino a quando non noto con enorme sconcerto che anche questa volta il tentativo di liberare un misero ripiano di un armadio colmo di vecchi abiti è tipo morto lì, stroncato sul nascere dalla portentosa figura di mia madre. Che non concepisce proprio il disfarsi dei miei vestiti.
In camera mia ci sono due armadi: uno è mio, ovvero c’è riba mia dentro, nell’altro ci sono tanti di quei vestiti vecchi che potrei tranquillamente aprire un banco al mercato. E nonostante io faccia il diavolo a quattro da anni per rivendicare ogni volta mezzo metro cubo di spazio, la situazione stenta a migliorare. Solo che una volta ero impulsiva, permalosa, perdevo subito la pazienza e non ero in grado di mettere le mani dentro quegli armadi senza essere investita da un’ondata di nervoso; adesso invece ho imparato l’arte della pazienza e della perseveranza e non mi interessa metterci una settimana o un mese, io farò le mie piccole mosse ogni tanto fino a che puff! Anche il secondo ripiano si sarà svuotato.

Se nel mentre il mio corpo smettesse di perdere o guadagnare chili a caso, mi farebbe un gran favore, che son più i pantaloni che metto via perché troppo larghi o troppo stretti, di quelli che effettivamente uso. E miseriaccia boia, quanto ci devo spendere in pantaloni ancora?

Ma torniamo all’argomento cardine dei miei soliti racconti, ovvero: le lamentele.
No, scherzo, ovvero l’università. Siccome non ho voglia di incazzarmi scriverò solo che tra undici giorni cominceremo le lezioni in un cinema/teatro. Ora, io mi chiedo tante cose, ma in cima a tutte spiegatemi come facciamo a fare chimica in un posto sprovvisto di lavagne. Dove non puoi nemmeno scrivere col sangue di quelli che hanno deciso di piazzarci lì, visto che comunque non esiste un posto dove scrivere. Mi auguro che si attrezzino. Altrimenti dovranno pagarmi tutta la Valeriana che sarò costretta ad assumere per calmarmi e se sarò troppo nervosa mi odieranno tutti e perderò gli amici e il ragazzo. Tutto per colpa di un aula. Che scenario apocalittico… la degna fine sarebbe la distruzione del luogo incriminato per opera di una me con i superpoteri e un fighissimo mantello violetto con i bordi verde smeraldo. E una gigantesca J sul petto. Dio che bello. Ma provvederò all’istante a spingere in un angolo le mie manie di grandezza e chiuderle a chiave in uno sgabuzzino con una mezza dozzina di lucchetti, giusto per essere sicuri.

Insomma ricomincerò a fare avanti e indietro da Torino tra uno sbadiglio e un tè della Twinings, su quell’ormai familiare sadem su cui credo di aver già passato i momenti cardine della mia esistenza.
Le prime volte ho patito quell’autobus da impazzire, per poi abituarmici, nell’arco di qualche viaggio. Quel pullman c’è stato dopo il mio primo esame all’università, quando persa come poche credevo che stesse andando verso Parigi e invece no, quello era il prossimo volo che sarebbe partito dall’aeroporto di Caselle. C’era dopo l’orale di inorganica, quando dopo un’intera giornata di agonia e una lode, ero stanchissima e affamata e temevo persino di star male. C’è stato quando ho ricevuto il peggior due di picche della storia, non tanto perché io abbia chiuso i rapporti con quella persona (infatti siamo amici ora!) ma semplicemente perché mi ha fatto tanto, tanto male. Quella volta finii in fondo all’autobus a piangere. E anche il giorno dopo, quando tentai di risollevarmi il morale, ma finii per schiantarmi ancora più in basso e fare una cosa idiota di cui mi pentirò per il resto della mia vita.
Ed ero di nuovo su quel pullman una settimana fa, in compagnia di un salentino, probabilmente a far arricciare il naso a quelli che stavano seduti intorno, per essere rimasti appiccicati come due cozze per tutto il viaggio.
Nel bene e nel male, quell’autobus c’è sempre stato. Ho letto, scritto e persino tentato di risolvere un esercizio di meccanica quantistica lì sopra, guadagnando un fantastico mal di testa per tutto il resto del viaggio.
E questa volta sarà ancora più speciale. Io che ero allergica a Torino, una volta, ora sembra quasi che non ne possa più fare a meno, e anche se tento di fare ancora la scocciata quando mi tocca passare in viaggio più ore di quelle che vorrei… beh, in fondo è bello così.

Sull’autobusultima modifica: 2017-09-14T10:40:30+02:00da jessytherebel
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