Dalla Capitale con affetto

Eccomi, sono ancora viva! L’ultimo articolo che avrei dovuto pubblicare è rimasto incastrato su Wordpad e bloccato dal mio disgusto per la scarsa fantasia, tutta colpa dei tremendi rinvii a cui mi ero costretta ogni volta che avrei voluto cominciare a scrivere. Incredibile vero? Appena le congiunzioni astrali si accorgono che sto per mettermi a produrre un articolo, eccole che cambiano assetto e si mettono nei posti più sfavorevoli che esistano. E precisamente mi ronzano intorno impedendomi di fare ciò che vorrei. (Alcuni la chiamerebbero normale amministrazione, io immensa rottura di emh emh)

Voglio invece toccarvi il cuore con la romanticissima immagine di un microbo che scala l’Altare della Patria e ad ogni dozzina di scalini fa una pausa per soffiarsi il naso. Una ragazza con una tale finezza da fotografare le terga delle statue e ammetterlo anche a voce alta, una vera intenditrice d’arte, che di fronte al Colosseo esclama “Pensavo fosse più grande!” salvo poi accorgersi di aver cannato l’angolazione, ma soprattutto, una liceale così soddisfatta da guardare la Colonna Traiana e avere un moto di disprezzo verso il secondo anno di storia.
Una vera ed inimitabile Jess in trasferta.

Accompagnata da un ragazzo coraggioso che ha deciso di mettersela anche in camera – impresa non da poco – Jess sceglie il giorno precedente alla partenza per mostrare i primi sintomi di un malessere fisico chiamato raffreddore (e compagnia bella) che le renderà il viaggio un vero e proprio idillio. Ma lei sì che sa cosa fare e in tutta risposta… si lamenta. Decide di affrontare il malanno di stagione con ottimismo e astuzia e il primo giorno lo passa in silenzio, comunicando a gesti e occhiate, ma soprattutto cercando un panino per pranzare.

La combriccola si arricchisce con una guest star ignara della montagna di batteri che sta per incontrare, così felice ed emozionata di trovarsi proprio a Roma da non notare lo sfacelo di ragazza che le si presenta di fronte. Non si sa bene come, ma gira voce che Jess si salvi col suo stesso carattere, anche se altre voci mi han detto che è più spesso vero il contrario.

La domenica sorge con una carbonara mancata, che pesa sulla coscienza più della nostra bagna cauda sullo stomaco, una brioche siciliana (a Roma eh) che stentava a percorrere il tragitto bar-tavolo e un naso da soffiare perennemente. La giornata si prospetta lunga e densa di camminate per mezza città, salvo poi scoprire che quest’ultima è un po’ troppo grandicella per poterne davvero girare metà a piedi. Firenze e Bologna non facevano questi scherzi. Aosta poi. Ma che paragoni faccio, suvvia!

Parte così la lunga marcia alla scoperta di strade senza uscita che non vengono segnalate da nessuna parte, strade in salita, in discesa, in salita, oh già i sette colli!, uno starnuto, i fori imperiali, toh guarda una statua di Cesare! *saluta Cesare*
E dopo tanta fatica per capire quale fosse la via giusta, imponente e bianchissimo, al fondo della strada, compare lui: l’Altare della Patria.
Mai visto niente di tanto maestoso – perché ho viaggiato poco, lo ammetto – però secondo me è davvero qualcosa di spropositatamente enorme. Come le parole che ho usato.
Jess e il suo fidato ragazzo decidono di salire fino in cima e il momento migliore arriva quando ad entrambi viene l’idea di contare i gradini scendendo. Due cervelli bruciati insieme insomma. E così parte la conta che arriva al notevole risultato di 179 scalini. Capito, mica 180?
Una scalata di media intensità con vista panoramica su una fetta di Roma (eheh non ci casco più) decorata con tante cupole. La mia amica capisce e annuisce con garbo. Che bello perdersi a Firenze.

Tornando alla città eterna, il giro prosegue interminabile tra vie, piazze, palazzi a caso su cui ci illumina san Google Maps, un trancio di pizza… Ah, a proposito. Vorrei dedicare una cassetta di funghi al mio compagno di esplorazione salentino. Precisamente funghi da mettere sulla pizza, dovunque venga cucinata.
Capita che sulla via verso Villa Borghese – proprio un must per le coppie a quanto mi dicono – spunti dal nulla un museo di Leonardo Da Vinci. E cosa fai? Resti fuori?

Solo due come noi potevano trotterellarci dentro felici, con l’esaltazione tipica degli universitari che si sono fusi la parte sana di cervello: Un chimico e un ingegnere, capirai che accoppiata, passiamo dai discorsi più superficiali ai più incomprensibili nell’arco di tempo in cui si dimezza il polonio 215 e siamo anche capaci di fare il contrario, più lentamente però, che la scienza lascia sempre un alone di mistero nei nostri cervelli noiosi.

Quando arriva l’ora di cena si pone davanti a Jess l’ennesima sfida: vestirsi eleganti e in fretta. Ora, se ci sono delle ragazze normali sapranno sicuramente che la suddetta frase è quasi un paradosso, mentre per quelle come Jess il problema, unico e devastante, è l’eleganza. Specie quando una ha un colabrodo al posto del naso. Quindi con molta nonchalance lei fa finta di niente, come quando si ripete che non bisogna preoccuparsi per l’esame, tanto non è importante (bugia) e c’è un’altra chance (vero, ma per lei vuole restare una bugia), e spera che vada tutto liscio.
Infatti non appena mette piede fuori dall’autobus, scivola in una buca, inciampa e per poco non lascia il muso sull’asfalto. Abbiamo constatato che le buche sono proprio un problema.

Fortunatamente il cibo sistema ogni cosa ed ecco che anche dopo cena si marcia verso una zona inesplorata della città. Come se fosse difficile trovarne una, tra l’altro. La salita culmina in un posto particolare, un portone forato dal quale si vede non solo la cupola di San Pietro, ma anche la miopia che avanza spedita all’occhio sinistro.
Fatemi un applauso perché riesco davvero a rovinare qualsiasi cosa.
Come minimo dovrei scrivere un articolo parallelo in cui mi comporto da persona normale e taglio tutti i commenti idioti e scomodi per lasciar fuori le vere impressioni del viaggio. Ma non avrebbe più senso scrivere a questo punto e quindi bentornati alla sagra del disagio!

L’ultimo giorno siamo tornati al Colosseo perché ormai eravamo di casa e niente, una volta tornata a casa mi mancava persino.

Una menzione speciale al posto in cui abbiamo alloggiato, in cui abbiamo gioito per il letto matrimoniale, ma un fino meno per il miscelatore della doccia e il lenzuolo inesistente, dove abbiamo dormito in compagnia di un microonde e un divano, e dove la simpaticissima scrittrice di questo pezzo ha scostato entrambe le notti la tenda davanti alla finestra, per non dormire nelle tenebre in un posto sconosciuto.

Beh, sarà stato divertentissimo dormire con un covo di germi di fianco, io per sicurezza ho messo da parte qualche banconota per delle eventuali medicine.

Dalla Capitale con affettoultima modifica: 2017-10-12T22:47:24+02:00da jessytherebel
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