Immagina di andare ad una festa in un locale e non passare una buona serata. Ti senti a disagio, fuori posto… ma resisti. Immagina poi di avere una seconda occasione per rivalutare, tornarci e stare persino un po’ peggio dell’altra volta.
Ci torneresti una terza? Io ci penserei a lungo. Lascerei passare del tempo, proverei ancora, e scoprirei che non appena metto piede in quel locale i ricordi negativi mi assalgono.
Per me quel locale è l’estate.
È paradossale, ma adoro le giornate di sole, le notti in cui si sta bene fuori a guardare le stelle, il profumo di erba tagliata nei campi… I giri in bicicletta, avere del tempo libero e – da pochissimo tempo a questa parte – non dovermi infagottare nelle maglie per non sentir freddo. Ecco, avere le membra abbastanza libere da improvvisare una piroetta in totale libertà.
Eppure, allo stesso tempo, la valanga di negatività delle estati passate bussa alla mia porta in una giornata qualunque e mi lascia un piccolo e innocente regalo. Ansia allo stato puro. Che nel mio caso significa soffrire: o di mal di stomaco, o di mal di pancia. E avere la mente piena di sensazioni spiacevoli… ricordi di un malessere che ho provato per fin troppo tempo, quando avrei dovuto essere leggera e godermi la spensieratezza dell’adolescenza.
Tuttavia, si supera. Come ancora non lo so, con tutte le buone intenzioni finisco per essere succube della giornata storta ogni volta, ma non smetto mai di provarci.
Che se vogliamo vedere è anche un po’ il mio marchio di fabbrica.
E qualche piccolo successo arriva, ad esempio al momento sto indossando una gonna (e sto scrivendo in autobus, come le persone disperate). Il prossimo passo sarà vedere una volta per tutte se l’insalata di riso mangiata a luglio intristisce oppure è buona come mangiata (sempre in preda alla disperazione) ad aprile. Lo so, dovrei chiamarla col suo vero nome, non disperazione, ma università. Solo che nella mia testa l’università è un bel posto, quindi dispiace rovinarla.