Una vacanza psicologica

Al risveglio mi attende un panorama familiare: campi di granoturco, erba, tetti di tegole inclinate. Sono le 7.30 e sto viaggiando sull’Intercity notte Lecce-Torino, pregustando il sapore delle mura di casa.

Due ore dopo metto piede sul Sadem, avendo appena provato l’ebbrezza di caricare una valigia nel bagagliaio. Guardo Torino e la vedo bella come mai prima d’ora. Ogni edificio sa di familiare e non sono mai stata più felice di essere di nuovo lì. Come mai?

Ho provato la combo suocera + ex, ambientata in un luogo pittoresco, ma ahimè dipinto dall’artista sbagliato, dove la vita ruota intorno all’acqua di mare, sostanza con cui non ho un grande feeling. Nessuno sa l’episodio della piscina. O forse ho solo rimosso di averlo scritto anche qui, sta di fatto che il mio rapporto con l’acqua è favoloso quando si tratta di berla, lavarcisi, ma non stare a mollo e peggio ancora nuotare. Il mio migliore amico mi definì “idrofobica” e tale mi considero senza controllare se il termine sia più o meno appropriato.

In realtà ho sperimentato le prime ferie della mia vita, in parte al mare, in parte no, e devo sottolineare il grande successo che ho ottenuto: niente mal di stomaco per ciascuno di tutti i nove giorni. Ero in centro a Lecce quando me ne sono resa conto e per poco non mi commuovevo in mezzo alla via, a metà strada tra i tarallini e un pasticciotto, di fronte ad una lastra riportante le parole del Papa alla città.

Sono stata brava. Questi nove giorni sono stati un continuo allenamento: a stare in acqua senza la costante sensazione di affogare, ad andare sulle rocce con la mountain bike, a mangiare il pesce viscido che mi faceva ribrezzo, a mascherare le emozioni. Quest’ultima cosa un filo meno bene, visto che il mio massimo di resistenza con il sorriso sul volto quando in realtà volevo fare una faccia schifata è durato da un battito di palpebre fino ad un massimo di un respiro completo. Principalmente perché odio fingere, eppure ogni tanto serve e bisogna esserne capaci.

Ho sperimentato anche la magica sensazione di scappare via da un gruppo di persone e devo dire che, esattamente come alla fine della prima liceo, le conseguenze sono state le stesse: nessuno si è accorto di nulla. Anzi, peggio, mi sono anche dovuta beccare la ramanzina dopo, come se non fosse bastato dovermi sedere in un prato pieno di formiche e zanzare affamate, chiusa fuori di casa. Ero stufa di fare ciò che gli altri ritengono corretto e ho fatto di testa mia. Per una volta ne sono stata felice. E poi sono arrivati i sensi di colpa anche lì. Non riesco ad essere egoista per troppi minuti di seguito senza tornare la solita scomoda altruista. Scomoda a me stessa, intendo, visto che agli altri fa comodo che io sia così. Soddisfo me stessa e poi devo anche pentirmene, ditemi se è forse lecito vivere così.

Non credevo che cambiare radicalmente abitudini di vita potesse creare un mostro. Non ho scuse per nascondermi, non posso dire che “non ero io”, perché sarebbe mentire. Ero autentica, solo maledettamente fuori posto. E se i miei tentativi di adattarmi sono stati a volte vani è perché non volevo farlo davvero. Resto me stessa dovunque, specie se si tratta di questioni importanti. Ed è vero, non credo di aver fatto buona impressione a nessuno, non mi onora tutto ciò e non ne vado certo fiera; ma non posso permettermi di correre il rischio di piegarmi agli altri. Perché basta un attimo e si diventa succubi. Ormai non pretendo più di modellarmi al punto tale da incastrarmi nel mondo, io sono jessytherebel e questo avrete, dovunque e comunque.

Una vacanza psicologicaultima modifica: 2018-08-09T19:46:35+02:00da jessytherebel
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