I primi capelli bianchi

Mi vergogno pubblicamente. L’ultimo pezzo che ho scritto (e pubblicato) risale al 29 settembre e oggi siamo al 2 dicembre. Nel nord Italia nevica, dove mi trovo io ci sono 16 gradi al sole (di pomeriggio) e si può uscire con il giubbotto di pelle.

Cosa diamine è successo?

Dunque, in ordine cronologico, da allora sono successe le seguenti cose: ho terminato il mio soggiorno a Torino con un lutto in famiglia, ho consegnato la tesi lo stesso giorno del funerale, ho provato e riprovato il discorso da venti minuti da tenere il giorno della discussione, mi sono laureata a casa, in giacca e cravatta e ciabatte, ho festeggiato il mio compleanno e pochi giorni dopo (ovvero tre giorni dopo) mi è stata confermata la PARTENZA PER BARCELLONA.

Già, perché ben prima di ultimare la tesi e arrivare al fatidico momento in cui si smette di essere studenti e si entra nel limbo dei disoccupati, mi è stato offerto un lavoro. Non saprei come descriverlo, se non come qualcosa di fatto apposta per me, l’occupazione dei miei sogni – almeno di quelli più recenti – con un unico piccolo inconveniente: il fatto di dover andare a 900 km da casa mia.

E così, invischiata tra l’accettare e il rifiutare, ho optato per la prima. Giusto perché non ho assolutamente avuto alcun problema andando in Erasmus a Grenoble, no? Fatto sta che il 15 novembre, tra la gioia e una vagonata di sconforto, ho caricato le mie valigie su un Flixbus e ho intrapreso 13 bellissime ore di viaggio in autobus, che – per chi non lo sapesse – erano l’unico modo che avessi per scampare all’aereo.

Indovinate dunque chi si farà altre 11 magnifiche ore di viaggio per tornare a casa per Natale? Ebbene, io, che dopo aver resistito alla tentazione di fare i pacchi e mandare tutto a monte anche stavolta, sono persino riuscita ad intraprendere una normale vita in compagnia di non uno e nemmeno due, ma bensì tre coinquilini. Se vi sentite come se avessi appena dato uno scossone alle vostre certezze, immaginate come mi stia sentendo io.

Io che a vent’anni mi immaginavo di fare il chimico ambientale non troppo lontano da casa, a ventiquattro sono a Barcellona con un contratto di quattro anni per fare il chimico computazionale. Ovvero colui che passa la sua giornata di lavoro seduto davanti ad un pc a fare cose, ogni genere di cose, ma che appunto non si schioda dalla sedia. Vorrei cedere la parola alle mie articolazioni, ma temo che non avrebbero molto da scrivere, se non un discreto numero di onomatopee che esprimano scricchiolii vari.

Come sia potuto succedere tutto ciò me lo domando ancora persino io, che vivo in prima persona tutte le mie avventure, eppure a volte non basta a crederci. Certe però sono due cose: la prima, che tutto ciò ha contribuito a farmi spuntare dei capelli bianchi (dopo la cui scoperta sono precipitata nella disperazione più nera); la seconda, che se per mesi e mesi ho rotto le scatole a tutti i miei conoscenti, ripetendo con orgoglio che il tempo di fare la pendolare stava per giungere al termine, cii sono ricascata in pieno. Tra casa mia e l’ufficio continua ad esserci un’ora e mezza di tragitto, non c’è niente da fare. Stavolta senza autobus azzurri, autisti biondi e signore cinquantenni con cui fare amicizia, ma con i “carroferril”, la gente che parla sia in catalano che in spagnolo confondendomi le idee ed un numero imprecisato di linee di metropolitana che Milano levati.

Comunque, non so se ho appena rivoluzionato il karma con questa storia dell’articolo sul blog, ma stasera, per la prima volta in 17 giorni, sono le ventitré e l’unica anima viva in salotto sono io, gli altri tutti a cuccia. Un’altra cosa molto divertente è che sono la più piccina (sia come età che come fisico) e anche quella che mangia di più. E credetemi che mangio meno del solito da quando sono qui… non a caso la bilancia ha cominciato a prendere la retta via della discesa e oggi ho tentato di arrestarla a ritmo di tortellini, croquetas e escalibada, guadagnando l’ammirazione dei presenti. E ho sempre freddo. Conclusione: gli altri vivono d’aria, ma, per qualche strano scherzo del loro metabolismo, non patiscono il freddo. In tutto ciò, io recito la parte della disperata che accende la caldaia un giorno sì e l’altro pure, per evitare di trasformarsi nel fantasma di se stessa.

Che poi, se diventassi un fantasma, sarei tipo Casper. Con tutti i conti in sospeso che ho da fare per il dottorato, potrei campare almeno un altro anno. Però un momento, Casper mangiava o no? Che senza buon cibo, che senso ha lavorare tutto il giorno?

P.S. A proposito dei miei capelli, non è che son poi così disperata. Certo è che quando pensavo di farmi lo shatush, non era certo mia intenzione farlo al contrario…

jessytherebel, dal Barrio di Sant Antoni, Barcellona

I primi capelli bianchiultima modifica: 2020-12-02T23:30:17+01:00da jessytherebel
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