Testarda come un mulo

Stento a credere che sia già passato un mese da quel giorno al Bar Alaska. Ho attraversato giorni difficili, prima in preda allo sfinimento del cambio stagione e poi allo sfinimento mentale, presa da un’irrefrenabile voglia di tornare a casa. Per fortuna sono riuscita a calmare i miei istinti primordiali, tra uno sfogo al telefono e un pianto per strada, e menomale, perché ora che è finalmente cominciata la stagione calda – con un immenso ritardo – qui a Barcellona, se non tenessi a bada l’inconscio, finirei per soccombere sotto la calura di un’estate in città.

Ah! Se penso a quei poveri ignari che hanno osato dirmi “ti perdi i mesi più belli qui, andando via a fine giugno…” Cari miei, la verità è che mentre voi non riuscirete a dormire la notte, io mi godrò la frescura (e le zanzare, ma che me ne frega) della campagna, potrò tenere le finestre aperte senza dover affrontare i rumori di un intero condominio, ma soprattutto uscirò di casa e vedrò dei bei prati verdi, non il triste e spento grigio dell’asfalto e dei palazzi. Anzi, mi prendo la libertà di dire che mi fa anche un po’ schifo essere attorniata da condomini su condomini, e diamine!

Quindi ecco, l’esperimento della vita in città ha rivelato che questa non è la mia condizione ideale di vita, che posso adottare per un po’ di tempo, purché non diventi la norma. E soprattutto, che non diventi mai più la mia norma condividere casa con più di una persona, eccezion fatta per i miei genitori. Sono selvatica e mi piace anche.

Nonostante questo, volevo prendermi un momento per apprezzare la pazienza e la tenacia con cui ho affrontato tutto questo. Sono passata dall’essere un pulcino sperduto che aveva paura pure della sua ombra a qualcuno che – non senza difficoltà, lo ammetto – bene o male, se la cava da solo. Che si mantiene economicamente da sola – eheh – e che, udite udite, non vive più in funzione dello studio/lavoro. Se questa cosa fosse stata repentina, avrei causato un diluvio che Mosè spostati. Per quanti super poteri potesse avere, l’acqua che avrei fatto scendere io con una tale virata fuori programma non l’avrebbe potuta fermare nessuno. Perciò ringraziatemi, che sono stata lenta e delicata nel trasformarmi da pazza a persona normale.

E proprio per essere coerente con quello che ho appena detto, mannaggia la miseria ladra, voglio ricordare questa giornata come quella in cui sono riuscita a sconfiggere il mio acerrimo nemico W33, che potete immaginarvi come un pezzo di ghiaccio fatto a forma di fagiolo, costruito da 33 molecole di acqua. Cioè, niente. Per chi se lo chiedesse, sto affare è lungo 1.6 nm, ovvero 0.0000016 mm. Eppure, nonostante le ridicole dimensioni, combinato con il giusto metodo di calcolo, può creare un incubo. Tale fagiolo infatti presenta una cavità che, data in pasto al “giusto” funzionale (leggi, metodo di calcolo), si appiattisce come una brioche sul fondo dello zainetto e non c’è modo di evitare il disastro.

Tuttavia, se questo capita ad una sola di dieci strutture, uno due domande se le fa. E se questa sola struttura tragicamente trasformatasi in schiacciatina ti fa buttare via metà di quel lavoro, di domande ne sorgono pure di più. Ma come minchia ragiona sto pezzo di ghiaccio?

Così, tra un incitamento a provare qualche trucco e una persuasione a gettare l’ancora, io, da bravo mulo testardo che più tenti di smuoverlo e più si fissa dov’è, ho continuato a battere il martello sulla mia incudine. Salvata in corner dai numerosi impegni del mio collega, che non ha nemmeno più avuto il tempo materiale per dirmi che il lavoro va concluso, con o senza fagioli spiattellati, ho passato più di un mese a combattere con la cavità. E proprio quando, martedì scorso, stavo per darmi per vinta, ho avuto l’idea che avrebbe dato la svolta alla situazione. Catalogata fin da subito come “l’ultima spiaggia e poi giuro che mi arrendo”, anche se il livello di fastidio che questa idea generava nella mia mente raggiungeva limiti difficilmente descrivibili, è stata fonte di un mare di speranze. E più i giorni passavano – non vuoi che avessi altro da fare proprio quella settimana? – più io ci speravo un po’ di più, e mi ripetevo di smetterla, che più uno si illude, più si schianta quando viene deluso.

Nulla, non c’è stato modo di desistere. Il cluster su cui giravano i miei conti si è pure rotto nel weekend, in coppa a tutto ciò sono riuscita a sbagliare l’input dell’ultimo conto, ma – signore e signori – se sono qui alle 23.28 a raccontare di questa serata è perché, dopo aver svolto tutte le faccende domestiche, qui di fianco al ferro da stiro che ormai si è raffreddato, ho appena inserito l’ultimo numero in tabella e ho visto quello che i miei occhi desideravano fin da subito: la reazione funziona. Quello stramaledetto fagiolo ci fa ottenere il prodotto che speravamo e, se qualche chimico mi sta leggendo, la reazione ha una barriera così bassa che praticamente è spontanea. E io godo.

Porca vacca, quanto godo. Perché questa è la dimostrazione che quando mi metto in testa una cosa: uno, la faccio; due, che mi vengano a dire di mollare, e io col cavolo che mollo! Arrivo fino alla fine e torno pure indietro a chiamare gli altri. Questa è la vera Jess, quella che davanti ad una sfida si mette in gioco, con entusiasmo, senza curarsi di altro se non delle sue capacità.

La vostra fidata jessytherebel,
stanca, ma soddisfatta, davvero.

 

Testarda come un muloultima modifica: 2021-06-01T23:34:18+02:00da jessytherebel
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